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«Per noi è bellissimo, da qui, vedervi spiccare il volo.» Il discorso del Rettore ai nuovi alumni durante il Graduation Day
1.500 tra laureate e laureati e quasi 4.000 persone in piazza Martiri della Libertà, nel pomeriggio del 10 giugno 2023 a Novara, sono stati i protagonisti dell’ottavo Graduation Day dell’Università del Piemonte Orientale
Di Leonardo D'Amico
Data di pubblicazione
credits © UPO/Archivio di Ateneo
1.500 tra laureate e laureati e quasi 4.000 persone in piazza Martiri della Libertà, nel pomeriggio del 10 giugno 2023 a Novara, sono stati i protagonisti dell’ottavo Graduation Day dell’Università del Piemonte Orientale (vai alla Fotogallery completa).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il rettore, professor Gian Carlo Avanzi, ha pronunciato di fronte ai nuovi alumni a beneficio di tutte le laureate e di tutti i laureati che non hanno potuto partecipare insieme alla comunità UPO a questo evento celebrativo.
Care Dottoresse, Cari Dottori, care Studentesse e cari Studenti, Genitori, Amici e Familiari delle nostre laureate e laureati, care e cari Docenti e Personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, cari Sindaci, Autorità.
Quest’anno cade il centocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni: uno scrittore che abbiamo imparato a conoscere a scuola, che ha significato molto per la lingua italiana e per l’unità d’Italia. Era anche una figura di grande intellettuale che nella sua opera indicava con nitidezza da che parte l’umanità avrebbe dovuto schierarsi.
Chi non ricorda il romanzo I promessi sposi? Tra il 1628 e il 1630 nella campagna lombarda, devastata dalla guerra dei Trent’anni e stremata dalla carestia e dalla pestilenza, l’amore di due popolani, Renzo e Lucia, sul punto di sposarsi, è contrastato dal capriccio di un signorotto, don Rodrigo, che, invaghitosi della giovane, cerca di impedire il matrimonio, facendo leva sulla codardìa del curato, don Abbondio. Renzo si reca a chiedere consiglio al dottor Azzecca-garbugli, ma questi si rifiuta di prendere qualsiasi posizione quando sente il nome di don Rodrigo. Il frate confessore di Lucia, Cristoforo, si reca a sua volta dallo stesso don Rodrigo, nel tentativo di dissuaderlo dallo sciagurato proposito.
Il Manzoni sceglie di usare uno schema romanzesco tradizionale — quello di due giovani innamorati che solo dopo varie peripezie riescono a sposarsi — depurandolo da elementi fantastici o avventurosi e finalizzandolo alla descrizione dei più saldi valori morali. Quella di Renzo e Lucia non è un’avventurosa esperienza d’amore, ma una difficile conquista di pace e di felicità, perseguite con impegno e senso del dovere in una realtà dominata dall’ipocrisia e dal conformismo.
Il racconto del colloquio tra fra’ Cristoforo e don Rodrigo rappresenta un passo significativo del romanzo. Il cappuccino sgrana il rosario che tiene alla cintola e, soffocando l’indignazione, gli riporta che i suoi bravi hanno fatto il suo nome per minacciare un povero curato. Lo prega di por fine a questa vicenda in nome della sua coscienza e dell'onore. Don Rodrigo reagisce accusando fra Cristoforo di venire a fargli “la spia in casa”. Non intende ascoltare la sua predica e allude addirittura che al frate sembra “interessare” molto la fanciulla. Cristoforo non raccoglie l’offesa, insiste nella sua richiesta e don Rodrigo si dichiara disposto ad aiutare la ragazza, se questa si mettesse sotto la sua "protezione", in modo che nessuno la possa più importunare. Fra’ Cristoforo perde le staffe, punta contro don Rodrigo l'indice della mano sinistra, dichiara di non aver più alcun timore di lui e scaglia la sua celebre e minacciosa profezia: Verrà un giorno...
Nel discorso tenuto durante la cerimonia di celebrazione dei 150 anni della morte di Manzoni, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affermato che «nello sterminato territorio che separa l’universo valoriale di fra’ Cristoforo da quello, turpe, di don Rodrigo si muove la storia, cammino dolente ma inarrestabile dell’umanità verso il futuro. Genti e popoli in marcia, con le loro speranze, i loro progressi, le loro miserie, le loro cadute. Figlio del suo secolo — continua il Presidente Mattarella — Manzoni ha avuto la peculiarità, che appartiene soltanto ai grandi, di gettare sulla società e sulla realtà storica del suo tempo uno sguardo lungimirante, capace di andare oltre, collegandosi – e spesso ispirandole – alle forze più vive e dinamiche della cultura italiana ed europea, pervase dall’aspirazione alla libertà, all’indipendenza, all’autodeterminazione. Un’aspirazione che non può essere disgiunta dall’opposizione e dalla ripugnanza nei confronti della tirannide, dell’abuso di potere, della violenza, dell’ingiustizia, specialmente contro i poveri, gli umili, gli indifesi».
Le opere d’arte di valore diventano immortali; conservano i significati morali e sfuggono al passare del tempo. La lezione del Manzoni è di enorme attuale e ci induce a riflettere sul rapporto tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti diffusi. Involontariamente, quasi con preveggenza, ci avvisa dei pericoli che oggi corrono le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà. Anche, sulla tendenza, da parte di classi dirigenti, di assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno tramite i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni.
Nei Promessi sposi, nei capitoli dedicati alla peste, Manzoni scrive icasticamente, a proposito di questi rischi: «Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune». Abbiamo spesso toccato con mano, anche recentemente, durante la pandemia, quanto siano dannosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi, l’ignoranza dilagante e quali rischi si corrano quando i detentori del potere — politico, legislativo, giudiziario, universitario — scelgono di cercare soltanto un consenso effimero, mentre si dovrebbe governare pensando al futuro.
Pensare al futuro significa porre attenzione a voi giovani e aumentare la vostra partecipazione all’elaborazione delle scelte e delle prospettive politiche, per comprendere meglio quali siano i temi, le sensibilità, gli obiettivi e i traguardi che le nuove generazioni, pur nella loro inevitabile ingenuità, sentono propri. Ogni generazione — particolarmente ora, con i frenetici ritmi di cambiamento — ha sensibilità, obiettivi, temi, livelli di priorità differenti da quelli di chi li ha preceduti.
Cesare Pavese, nel Mestiere di vivere afferma: «Un'opera non risolve nulla, così come il lavoro di tutta una generazione non risolve nulla. I figli — il domani — ricominciano sempre e ignorano allegramente i padri, quello che è già fatto… ma la ricchezza di un'opera — di una generazione — è sempre data dalla quantità di passato che contiene».
Qui con voi ci sono i vostri genitori, forse anche i vostri nonni. Di fronte a loro, nell’affacciarvi alla società, al lavoro, a una vita adulta da cittadini d’Europa, nel festeggiare l’esito delle vostre fatiche e dei vostri sacrifici per completare il percorso universitario, siate consapevoli di quello che è già stato fatto prima che veniste al mondo o durante la vostra infanzia e adolescenza. Ciò che è già stato fatto, anche qui in Università, è stato frutto di impegno, di fatiche, anche di lotte; i risultati di questo passato, che per voi forse sono scontati e non generano sorpresa, sono stati per noi immensamente difficili e lunghi da raggiungere; ma tutto questo, anche se inconsapevolmente, vi appartiene comunque. Sforzatevi a riconoscerlo: vi aiuterà molto per il futuro.
Ancora Cesare Pavese scriveva, poco prima della sua tragica morte, che «l'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante». Ebbene, allora…. cominciate, volate con le vostre ali…. per noi è bellissimo e commovente, da qui, vedervi spiccare il volo.
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